E’ stupefacente leggere sul Vostro giornale le affermazioni di Monari a Ferrante in “solidarietà” con la Cgil che sarebbe oggetto di un attacco da parte del Direttivo della Filcams. Uno strano concetto della dialettica e delle libertà democratiche!! Se osi confutare, punto su punto, i contenuti che ritieni negativi di un accordo sei tacciato con un “attentatore all’unità sindacale” ed alla tua organizzazione.
Infatti, si accusa la Filcams Cgil del Trentino di fare politica o di essere portatori delle posizioni di Rifondazione. Insinuazioni offensive, che dimostrano solo l’assenza di argomenti di merito. Potrei facilmente ribaltare questa affermazione, dicendo che i fautori del Sì sostengono le tesi del nascente P.D., ma questo terreno di confronto non interessa la mia organizzazione.
Voglio invece ragionare su due fronti: Il primo di metodo e qui vorrei ricordare che quanto detto da Monari e Ferrante richiamano alla memoria i tempi bui della democrazia e della rottura sindacale quando si accusava la Cgil di “fare politica” nel tentativo di nascondere le proprie pesanti responsabilità della rottura sindacale (fortemente caldeggiata dagli USA) nel primo dopoguerra. Non voglio fare paragoni perché impossibili, ma vorrei richiamare tutti – viste le modalità bulgare della consultazione - ad una valutazione sul deterioramento a cui è giunta la democrazia interna alle organizzazioni sindacali.
Nel merito richiamo solo due questioni: Pensioni: Ma davvero questo accordo, in materia di scalone e pensioni, è vantaggioso per la stragrande maggioranza dei lavoratori e lavoratrici? Quanti lavoratori traggono benefici da questo accordo rispetto alla legge Maroni e quanti ne sono svantaggiati? Il nuovo accordo prevede: età pensionabile a 58 anni nel 2008; dal 1 luglio 2009 si va in pensione con 59+36 o 60+35. Dal 1/1/2013 tutti in pensione con 62 anni di età con almeno 35 anni di contributi. Se la matematica non è un’opinione, l’accordo aumenta l’età pensionabile di 5 anni per tutti con un anno di anticipo rispetto alla Maroni. Ci guadagnano i lavoratori nati nel 1949, 1950 e 1951 (circa 30,000) e ci perdono in 13 milioni.
Una seconda domanda riguardai giovani: si dice che per i giovani è previsto l’obbiettivo (quindi tutto da verificare) di arrivare con 40 anni di contributi al 60% della pensione. Ora io mi domando? Ma di quale equità sociale si parla se si accetta che dopo 40 anni un giovane arrivi al 60% della pensione mentre gli anziani all’80%? ( E’ troppo parlare di rottura sociale fra generazioni?) Il tutto senza affrontare, anzi consolidando, le cause di queste ingiustizia che si chiama precarietà nel lavoro. Sui coefficienti di trasformazione l’accordo prevede (modificando in peggio la legge Dini del 1995) una prima riduzione da subito e poi saranno modificati ogni tre anni con decreto del ministro nel rispetto degli equilibri finanziari. Una specie di scala mobile al rovescio che non garantisce l’ammontare della pensione dei giovani.
Se anche teniamo in considerazione l’aumento delle pensioni minime (3,5 milioni di pensionati su 14 milioni) e dell’indennità di disoccupazione questo accordo appare come un dare a pochi per togliere a molti. Forse mi sbaglio ma i dati mi danno questa lettura. Forse non è un caso che nelle assemblee e nelle riunioni sindacali, anziché ragionare sul merito, si paventi lo spauracchio (vedi interviste ad Epifani e Bonanni) che in caso di voto negativo cade il governo e quindi ritornerà il “Ba-bau” Berlusconi alla faccia dell’autonomia di Ferrante e Monari dal governo amico.
Infatti, si accusa la Filcams Cgil del Trentino di fare politica o di essere portatori delle posizioni di Rifondazione. Insinuazioni offensive, che dimostrano solo l’assenza di argomenti di merito. Potrei facilmente ribaltare questa affermazione, dicendo che i fautori del Sì sostengono le tesi del nascente P.D., ma questo terreno di confronto non interessa la mia organizzazione.
Voglio invece ragionare su due fronti: Il primo di metodo e qui vorrei ricordare che quanto detto da Monari e Ferrante richiamano alla memoria i tempi bui della democrazia e della rottura sindacale quando si accusava la Cgil di “fare politica” nel tentativo di nascondere le proprie pesanti responsabilità della rottura sindacale (fortemente caldeggiata dagli USA) nel primo dopoguerra. Non voglio fare paragoni perché impossibili, ma vorrei richiamare tutti – viste le modalità bulgare della consultazione - ad una valutazione sul deterioramento a cui è giunta la democrazia interna alle organizzazioni sindacali.
Nel merito richiamo solo due questioni: Pensioni: Ma davvero questo accordo, in materia di scalone e pensioni, è vantaggioso per la stragrande maggioranza dei lavoratori e lavoratrici? Quanti lavoratori traggono benefici da questo accordo rispetto alla legge Maroni e quanti ne sono svantaggiati? Il nuovo accordo prevede: età pensionabile a 58 anni nel 2008; dal 1 luglio 2009 si va in pensione con 59+36 o 60+35. Dal 1/1/2013 tutti in pensione con 62 anni di età con almeno 35 anni di contributi. Se la matematica non è un’opinione, l’accordo aumenta l’età pensionabile di 5 anni per tutti con un anno di anticipo rispetto alla Maroni. Ci guadagnano i lavoratori nati nel 1949, 1950 e 1951 (circa 30,000) e ci perdono in 13 milioni.
Una seconda domanda riguardai giovani: si dice che per i giovani è previsto l’obbiettivo (quindi tutto da verificare) di arrivare con 40 anni di contributi al 60% della pensione. Ora io mi domando? Ma di quale equità sociale si parla se si accetta che dopo 40 anni un giovane arrivi al 60% della pensione mentre gli anziani all’80%? ( E’ troppo parlare di rottura sociale fra generazioni?) Il tutto senza affrontare, anzi consolidando, le cause di queste ingiustizia che si chiama precarietà nel lavoro. Sui coefficienti di trasformazione l’accordo prevede (modificando in peggio la legge Dini del 1995) una prima riduzione da subito e poi saranno modificati ogni tre anni con decreto del ministro nel rispetto degli equilibri finanziari. Una specie di scala mobile al rovescio che non garantisce l’ammontare della pensione dei giovani.
Se anche teniamo in considerazione l’aumento delle pensioni minime (3,5 milioni di pensionati su 14 milioni) e dell’indennità di disoccupazione questo accordo appare come un dare a pochi per togliere a molti. Forse mi sbaglio ma i dati mi danno questa lettura. Forse non è un caso che nelle assemblee e nelle riunioni sindacali, anziché ragionare sul merito, si paventi lo spauracchio (vedi interviste ad Epifani e Bonanni) che in caso di voto negativo cade il governo e quindi ritornerà il “Ba-bau” Berlusconi alla faccia dell’autonomia di Ferrante e Monari dal governo amico.
Ezio Casagranda - Filcams Cgil del Trentino
Trento, 4 ottobre 2007
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