giovedì 11 ottobre 2007

NO, un voto che pesa

La votazione dei lavoratori sul protocollo si è conclusa con una forte prevalenza di SI e quindi Cgil Cisl e Uil possono sostenere che la maggioranza dei lavoratori ha condiviso la scelta di firmare quel protocollo. Una più attenta analisi di quanto successo richiede, a mio avviso, alcune riflessioni e una lettura del voto che non può limitarsi ai soli numeri.
Una prima considerazione nella valutazione del voto riguardale modalità con cui si sono svolte le assemblee informative dove non era data pari dignità a quanti davano un giudizio negativo di tale accordo. L’aver impedito ai sostenitori del NO di poter illustrarne le motivazione è una grave ferita alla democrazia sindacale difficilmente sanabile la vittoria dei SI. La vera vincitrice di questa consultazione è la Cisl la quale ha, nei fatti, ribadito, che non esiste un “diritto al voto di lavoratori e lavoratrici” ma che tale esercizio di voto può avvenire solo alle condizioni imposte dai vertici sindacali e cioè all’interno di un meccanismo di voto “blindato” e con modalità di consultazione di tipo “Bulgaro”, cioè senza contraddittorio.
Una seconda riflessione riguarda la provenienza del voto. Fermo restando il principio giuridico che i voti sono tutti uguali, dal punto di vista politico la cosa non è così scontata e il NO proveniente dalla parte più attiva a sindacalizzata del mondo del lavoro richiede una attenta valutazione politico-organizzativa da parte dei gruppi dirigenti di Cgil Cisl e Uil. Un risultato che manda a dire che nei posti di lavoro esiste una situazione sempre più difficile, un forte malessere ed una rabbia che per non diventare qualunquismo o pura rassegnazione deve trovare risposte politiche e sindacali da parte delle confederazioni.
Infatti, io ritengo, che il plebiscito di SI registrato in alcune categorie è il risultato, sia dell’assenza di confronto dialettico all’interno del sindacato al momento del voto, sia a questo stato di rassegnazione e di impotenza che l’attività sindacale registra in queste categorie.
Una terza riflessione riguarda la politica della Cgil. In questi mesi abbiamo assistito ad un cambiamento repentino e etero diretto delle posizioni della mia confederazione. Dal congresso del 2006 che sanciva la richiesta dell’abrogazione della “Maroni” e delle leggi sulla precarietà a partire dalla legge 30 siamo arrivati alla firma, per presa d’atto del protocollo, alla valutazione “complessivamente positiva” del Direttivo nazionale, al SI con riserva fino al voto convinti per il SI richiesto nelle assemblee sindacali.
Passo dopo passo, in nome della sopravvivenza del Governo, la Cgil è passata dalla contrarietà al patto per l’Italia di berlusconiana memoria, alla sua supina accettazione modificando perfino le decisioni congressuali. Dopo questo voto e le dichiarazioni esultanti dei Tre segretari nazionali mi chiedo che fine farà la richiesta del segretario Epifani di modificare il protocollo nei tre punti ritenuti negativi avanzata a luglio al presidente Prodi.
Forse qualcuno penserà che questa questione sarà sommersa dalle polemiche sul comportamento che la cosiddetta “sinistra radicale” avrà in parlamento e quindi nei fatti una pericolosa metamorfosi della Cgil avrà fatto un altro pericoloso passa avanti sulla strada tracciata dalle imprese e ben indicata dalle scelte della Cisl. Una realtà difficile ed amara che sarebbe suicida nascondere e che spetta a noi riportare alla discussione con i nostri iscritti e nei gruppi dirigenti.
Ezio Casagranda - Filcams Cgil del Trentino
Trento, 11 ottobre 2007

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