domenica 28 ottobre 2007

I “Draghi” dei bassi salari.

Nei giorni scorsi il governatore Draghi, dopo Montezemolo, scopre che i lavoratori italiani hanno i salari fra i più bassi d’Europa che, sempre secondo Draghi, sono una delle cause della riduzione dei consumi.
Draghi ha scoperto l’acqua calda e quindi propone le sue ricette, monetarie, per superare questo problema. Aumento della produttività e delle pensioni, maggiore flessibilità nel mercato del lavoro accompagnata da qualche armonizzatore sociale.
Draghi denuncia un problema reale e nello stesso tempo propone di superarlo indicando strumenti che sono stati la causa dei bassi salari. Dalla precarietà, alla riduzione dello stato sociale, le privatizzazioni e la perdita di potere contrattuale dei lavoratori e quindi anche del sindacato.
Non è un caso se dalla sua analisi non si trova traccia dei mancati rinnovi dei Contratti nazionali (sono oltre 6 milioni i lavoratori che attendono il rinnovo dei contratti.: 1,7 milioni del terziario, 2 milioni di metalmeccanici, ecc) e del fatto che il tasso di investimento delle imprese italiana è il più basso d’Europa.
Inoltre Draghi tralascia di dire che alla base dei bassi salari italiani c’è l’accordo sui modelli contrattuali del 1993, la cancellazione della scala mobile e le scelte delle imprese e del Governo che hanno scelto un modello industriale fondato sulla compressione del costo del lavoro anziché sulla ricerca e sull’innovazione.
Infatti, mi chiedo, cosa significa, aumentare la produttività, senza una forte spesa in termini di investimenti sui prodotti e sui processi significa aumentare l’orario e l’intensificazione della prestazione lavorative. Cioè in linea con le pretese di FEDERMECCANICA al tavolo dei meccanici, mettere in discussione le pause e la gestione dell’orario di lavoro. In sostanza Draghi propone uno scambio fra qualche euro in busta paga con l’aumento dello sfruttamento individuale sancito da un modello contrattuale senza il Contratto nazionale che faccia da barriera sui trattamenti salariali minimi e su alcuni diritti fondamentali, come le pause, i tempi di riposo e/o la mezzora di mensa.
Una ricetta che si fonda su due pilastri: il primo la cosiddetta flexisecuity cioè un salario minimo (la disoccupazione) da valere per tutti (salvo deroghe peggiorative individuale) in sostituzione dei minimi economici e normativi dei CCNL, compreso il loro valore “erga Omnes”. La seconda è insita nell’accordo sul welfare nel capitolo relativo alla contrattazione di secondo livello che sarebbe, a differenza di quella del CCNL, detassata e de contribuita e quindi si pongono le basi materiali perché la contrattazione aziendale sostituisca quella nazionale. Due piccioni con una fava: Cancellazione del CCNL ed un UNICO livello di contrattazione.
In conclusione mi sembra che la discussione sulle problematiche della riforma del sistema contrattuale avvenga, come nel caso del protocollo sul welfare, non con i lavoratori ed ai vari livelli della rappresentanza sindacale, ma sui giornali con la regia delle nostre controparti.
Mi sembra, ma vorrei sbagliare, che la Cgil abbia nei fatti già accettato – modificando i deliberati congressuali – la riforma della contrattazione tanto cara a Cisl e Confindustria.
Come sempre questa schematica analisi attende smentite, che saranno regolarmente pubblicate, sul Blog della Filcams Cgil del Trentino.
Ezio Casagranda Filcams Cgil del Trentino
Trento, 28 ottobre 2007

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