lunedì 10 settembre 2007

Un Amato stupore

Il ministro degli interni s'è molto risentito delle reazioni alle sue proposte sull'ordine pubblico: «Perché tanta durezza?», invitando poi tutti a essere più «pacati». Strano argomentare. Non era stato forse lui a bollare di inutili «filosofie» (con scarsa considerazione della filosofia) tutte le obiezioni all'indicazione di «tolleranza zero» come ricetta per la sicurezza comune? Per poi spiegare che era l'unico modo per frenare «una montante reazione fascista». Come a indicare un modello Facta, quello che per affrontare il fascismo lo istituzionalizzò, aprendogli le porte di Roma. E' pacatezza questa?Che dire poi del metodo. E' vero che il quotidiano la Repubblica conta più della camera dei deputati, ma un ministro - soprattutto degli interni - qualche precauzione la dovrebbe pure avere, non dovrebbe parlare il linguaggio di guerra di un bandito Giuliano; o - almeno - non si dovrebbe stupire che le sue parole suscitino una certa apprensione: mica sono le dichiarazioni di uno di quegli accattoni che provoca in lui tante apprensioni.Ma, forse, tutto questo sparlare un senso ce l'ha. Da un lato crea un clima che offre la bolla ministeriale agli isitinti più bassi della società e trasforma le paure in un'emergenza: «Vedete - si dirà - il popolo lo vuole. La politica si deve adeguare». Salvo il fatto che è proprio la politica a fomentare affermando che non c'è altra soluzione del pugno di ferro. E dove non arriva la legge, arrivi il «popolo». Dall'altro lato ci sono le esigenze politiche in senso stretto, la battaglia in corso per definire gli equilibri interni al nascente Partito democratico che, come tutti i «partiti unici», vive di continui riassestamenti. Persino a prescindere dal merito. Così le critiche che preoccupano di più Giuliano Amato (e Domenici o Cofferati) sono quelle venute da Rosy Bindi (e da Cacciari), come le correzioni di tiro fatte ieri da Walter Veltroni. Il tutto, naturalmente, fatto sulla pelle dei destinatari di tanto dibattito: i poveracci senza più parola. Ma, alla fine, tutti noi con le nostre libertà sempre più.
Gabriele Polo - da IL MANIFESTO - 8 settembre 2007

Nessun commento: