mercoledì 9 gennaio 2008

Salari e sfruttamento

Ieri si è aperto il confronto tra il Governo e i sindacati sulla cosiddetta questione salariale in una situazione in cui l’inflazione viaggia al 3 per cento e la pressione fiscale continua ad aumentare, e grava soprattutto su chi è tassato alla fonte. Nonostante le reiterate promesse, da anni il drenaggio fiscale (l’aumento delle aliquote anche a parità di reddito reale, per effetto dell’inflazione) non è stato restituito alle famiglie. L’accordo del 1993 e la precarizzazione del lavoro hanno generato una riduzione dei salari che stando all’ultimo rapporto Istat hanno perso oltre 10% del potere di acquisto rispetto al 1995. Se poi togliamo le perdite derivanti dal drenaggio operato dal fisco la perdita di aggira attorno al 12-13%. La precarietà costringe i giovani a “mendicare” un posto di lavoro ingenerando una rincorsa al ribasso dei salari. Se poi sia aggiunge che per i precari il costo del lavoro è avvenuto principalmente attraverso il taglio ai contributi previdenziali corriamo il rischio di avere una intera generazione di persone che attualmente vivono in condizioni di precarietà, con un salario bassissimo e da pensionati faranno la fame.
Per dare risposte a questa emergenza salariale si parla di intervento sul fisco e di riforma della contrattazione che dovrebbe legare il salario alla produttività e quindi incentivare, come sostiene Ferrante sul Vostro giornale, la contrattazione territoriale e aziendale.
Ma cosa significa oggi l’affermazione che deve aumentare la produttività o che bisogna essere più flessibili? Significa, e questo emerge dai tavoli negoziali, aumento dello sfruttamento e dell’intensità della prestazione del lavoro, mano libera sull’orario e sulle turnazioni. In buona sostanza maggior sfruttamento dei lavoratori. Infatti, se per aumento della produttività si intendono investimenti in innovazioni tecnologiche questo vanno fatte a prescindere dal sistema contrattuale. La verità è che governo e Confindustria quanto parlano di produttività e di flessibilità intendono questo e non investimenti in innovazione di processo e di prodotto. Ho l’impressione che ci siamo già dimenticati che una delle cause dell’alta mortalità sul lavoro deriva dall’aumento dei ritmi della prestazione lavorativa. Che poi il sindacato si faccia incantare da queste “sirene” denota una caduta di autonomia oltre che culturale.
Sulla contrattazione decentrata: questa viene fatta solo (e non per scelta sindacale) nel 40% delle aziende e copre circa il 20-25% degli occupati e quindi si rischia di dare risposte ad una esigua minoranza. Basta vedere la contrattazione territoriale che non si riesce a fare, causa i rapporti di forza, nel settori del commercio, del turismo, della ristorazione e delle pulizie. Qualcuno sostiene che la riforma della contrattazione dovrebbe definire regole cogenti per la contrattazione. Ma se è questo tanto vale definire una nuova scala mobile ed il recupero automatico del drenaggio fiscale sui redditi da lavoro. Sarebbe più semplice, meno complicato e più trasparente.

p la Filcams Cgil del Trentino
Ezio Casagranda
Trento, 9 gennaio ’08

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