domenica 12 agosto 2007

Autonomia sindacale e diritti

Considero importante che il confronto sull’accordo del 23 luglio scorso continui anche attraverso i mezzi d’informazione e non solo all’interno del sindacato e delle forze politiche. Un accordo sicuramente complesso, come dice qualcuno, ma chiaro nei suoi contenuti e nel disegno politico che lo supporta che una discussione tutta incentrata sul contesto degli equilibri governativi e parlamentari rischia di essere fuorviante e non cogliere che è in atto una metamorfosi dell’agire sindacale. In questo contesto appaiono poco credibili i richiami alla situazione generale per accusare chi dissente dall’accordo di lavorare per la crisi di governo. Argomenti che servono solo per nascondere con una cortina di fumo i contenuti negativi di questa intesa che superano di gran lunga quelli positivi. Se da una parte c’è l’aumento delle pensioni minime e della disoccupazione, dall’altra si è mantenuto lo scalone Maroni, anche se diluito di qualche anno, si è elevata l’età pensionabile, sia anagrafica sia contributiva (36 anni), le finestre per i 40 anni di contributi sono pagate dalle nuove finestre introdotte per le donne, mentre i giovani continuano a rimanere precari, con salari e pensioni da fame. Il tutto senza mettere mano ai tanti privilegi pensionistici ancora esistenti da quelli dei parlamentari, come Dini, Mastella e Bonino, che hanno minacciato di non votare una legge che non avesse aumentato l’età pensionabile e ridotto la copertura della pensione pubblica. La decontribuzione degli straordinari, della contrattazione aziendale, la certificazione della precarietà attraverso l’accettazione della legge 30, mina alle fondamenta l’istituto del contratto nazionale (architrave di una politica di solidarietà e di unificazione del mondo del lavoro) manda in soffitta qualsiasi ipotesi di politica occupazionale e sostanzialmente accetta questa politica neoliberista. Non è un caso se oggi sulla questione delle pensioni e del mercato del lavoro si è scatenato da parte del padronato e delle lobby finanziarie una pesante campagna mirata a scardinare la solidarietà fra generazioni sulla previdenza sul lavoro e nel salario. Come non vedere che molte forze politiche sia di maggioranza sia di opposizione stanno lavorando per una diversa architettura istituzionale e governativa che richiede un sindacato omologato, privo di una sua autonomia culturale e rivendicativa e quindi limitato alla sola gestione dell’esistente. Come non capire che l’accordo del 23 luglio 07 è il principale pilastro, sul versante del lavoro, di questo progetto e quindi una forte opposizione a questo accordo permette alla Cgil e ai lavoratori di riprendere quella battaglia sui diritti confermata dal nostro ultimo congresso del marzo 2006. Per questo ritengo che quanti, anche in buona fede, si limitano a un’analisi delle difficoltà numeriche di questo governo, dimenticano, volutamente, di prendere coscienza che questo accordo, non solo certifica la precarietà a vita dei giovani e meno giovani, ma pone le basi per mettere in discussione l’autonomia sindacale e in particolare quella della Cgil. Infatti, l’accordo del 23 luglio sul mercato del lavoro, è la trascrizione del “patto per l’Italia” di berlusconiana memoria e se questo, spiga l’assenso di Cisl e Uil, dimostra l’attacco all’autonomia della Cgil che rischia di cambiare nelle strette stanze dei bottoni e in un afoso mese estivo gli stessi deliberati dell’ultimo congresso buttando a mare la grande esperienza di lotta e di partecipazione degli ultimi anni. Battersi per dare valore e dignità al lavoro richiede credibilità e coerenza, non fumose affermazioni generiche di lotta da fare in un futuro che verrà. Infatti, come possiamo essere credibile un sindacato che a settembre chiede ai lavoratori di approvare un accordo che depotenzia il CCNL, aumenta la precarietà sociale, aumenta a dismisura il ricorso ai contratti a termine, anche reiterati, liberalizza il lavoro interinale a vita e per le nuove attività, aumenta l’età pensionabile, e per i giovani rende strutturale il loro futuro da precari e poi a ottobre chiamarli a lottare contro un accordo che hanno appena votato. Mistero della politica o solo fumo per nascondere le responsabilità per un accordo che scarica sui lavoratori i costi del risanamento del debito. Forse è meglio partire con il piede giusto votando NO a quest’ accordo come prima forma di lotta per cambiarlo. Infine la contrattazione sindacale: i CCNL sono rinnovati con una media di diciotto mesi di ritardo, e a ogni rinnova non solo l’aumento salariale è misero ma sono introdotte ulteriori forme di precarietà (come in quello del turismo e/o dei chimici), mentre nei contratti aziendali è sempre più difficile contrastare il precariato perché le aziende vogliono applicare in toto la legge 30. Se qualcuno nel sindacato, pensa che dopo questo accordo sul welfare, che consolida e rende esigibile tutte le forme di precarietà, per i lavoratori sia più facili fare contrattazione in azienda significa che vuole solo vendere fumo (o tappeti) o che da troppi anni è lontano dalla contrattazione e dal sentire dei lavoratori.


Ezio Casagranda - Filcams Cgil del Trentino

Trento, 12 agosto 2007

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